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  • Marcello Usai

L’Arte, il suo messaggio e la decadenza dei valori culturali odierni

“I pittori, gli scultori, cioè questa gente eccezionale che fa delle cose incredibili, che possibilità di arrivare alle persone hanno? Una volta erano conosciuti, il pubblico conosceva nell’800 i poeti, gli artisti contemporanei, ed è stato così fino più o meno agli anni ’70. Poi improvvisamente conta soltanto la televisione. È un mondo preoccupante questo.”
Elio Germano


Ho preso spunto da questa riflessione di Elio Germano, noto e bravissimo attore italiano, che si è distinto più di altri, come Artista, per far comprendere come l’Arte, e più in generale la cultura italiana stiano attraversando un periodo di deriva allarmante, sia per chi l’Arte la produce che chi ne può gioire coi propri sensi.


Da vivimilano.corriere.it

Per me è di basilare importanza arrivare ad esprimere un concetto fondante: l’Arte non può essere solo mercato.

Un’Arte ha le sue radici, le sue identità che la contraddistinguono, parla a determinate platee e non può avere un linguaggio globale, stereotipato ed uguale per tutti. Quando vi hanno fatto credere che con la globalizzazione si sarebbe globalizzata anche l’Arte e la cultura, vi hanno raccontato una mezza verità. Probabilmente la verità sta nella possibilità, unica oggi, di diffusione del messaggio dell’artista in un contesto più ampio di quello che si poteva avere fino a venti o trent’anni fa, però questo è vero attualmente solo in relazione al rapporto delle opere col mercato. Per il resto la globalizzazione ha proceduto ad un appiattimento voluto del mondo artistico e culturale in generale. L’opera, con l’allargamento della platea pubblica, perde anche costantemente legame con la cultura che l’ha generata, e man mano che questi legami si sfilacciano, degenera anche la varietà culturale stessa coi valori e le istanze che queste varietà hanno protetto e veicolato nel corso dei secoli, generando un appiattimento senza precedenti.


L’Arte è vittima suo malgrado del meccanismo del mercato, ovvero è immersa in esso, in quanto l’artista ha la sacrosanta necessità di mantenersi all’interno di un sistema economico come quello che abbiamo ora, ma essa non nasce come linguaggio[1] in origine per vendere e sostentare l’artista ed il venditore, quanto piuttosto per permettere a chi crea di comunicare. Il guadagno era conseguenza del buon lavoro fatto e dell’intento che raggiungeva per se in relazione all’osservatore che creava un legame “unico e irripetibile” con l’opera, o secondo le necessità del committente che l’opera desiderava.

Mi chiedo: ma questa comunicazione può essere venduta? Il messaggio è importante in proporzione a quanto fa guadagnare il mecenate/produttore/gallerista che diffonde l’opera d’Arte?

O in misura tale a quanto può far pavoneggiare colui che l’ha acquistata solo perché è “di tendenza” possedere l’opera di un determinato (e quotato) artista, senza magari nemmeno comprenderne appieno l’essenza?

Credo che questo sistema ha fatto perdere di vista il concetto di Valore in quanto tale, appiattendo l’idea del valore evolutivo e culturale e del valore d’uso veicolato dall’opera, in funzione della considerazione del solo valore di scambio.

Ma come può un’artista provare a parlare liberamente al suo pubblico che si rispecchia nelle sue creazioni, o narrare con parole, musica o pittura la visione del proprio committente, se è costantemente sommerso durante il suo processo creativo ed espressivo dal peso di un mercato dell’arte che trasforma le sue opere in merce, e lo pone ripetutamente in competizione con altri artisti, che possono anche avere stili simili, ma che in realtà veicolano messaggi totalmente differenti, in quanto espressioni animiche differenti?


Bisognerebbe secondo me al contrario riattualizzare e rieducare al concetto dell’artista e della sua opera come strumenti di veicolazione di un messaggio, proprio o altrui, in funzione di un servizio per se stesso e per la comunità che ha gli strumenti per leggere quel messaggio. Abbiamo bisogno di rieducare all’Arte i giovani, che saranno gli artisti ed imprenditori futuri, ma anche gli artisti ed imprenditori attuali, affinché possano riacquisire un sistema di lettura del mondo in cui il denaro guadagnato dallo scambio di un’opera sia la conseguenza di un servizio di valore, e non il fine ultimo.

Bisogna riabilitare l’artista come figura chiave che permetta la proiezione dell’essenza dell’Uomo e dei suoi miti fondanti, e i finanziatori come coloro che investono non solo nell’oggetto o nella performance come elementi di vendita e incremento di guadagno, ma anche nel benessere evolutivo che ciò genera nell’umanità, altrimenti resteremo eccome vincolati ad ammirare della presunta arte stereotipata che ripete sterilmente se stessa parlando ad un pubblico privo di legami con essa (se non quello dell’omologazione acritica ad un gruppo) e generando del banale intrattenimento privo della minima funzione evolutiva, proprio come possiamo vedere oggi, in cui presunti schemi “vincenti” si ripetono su uno spartito banale e con poche variazioni in cui ogni “artista” mainstream sembra un clone di quello che gli sta accanto, e ripete costantemente i medesimi messaggi propagandistici voluti da qualche speculatore, non certo illuminato dalla luce brillante dell’arte e della cultura, ma da quella verde e rossa dei soldi e del dominio.

D’altro canto gli artisti come tali dovrebbero evolversi per superare le modalità competitive per provare a raccontare e raccontarsi in modi più collaborativi e rispettosi della propria figura e della propria unicità, creando assieme ad altri “colleghi” un mondo dove possono raccontare col proprio linguaggio autentico, e non forzato, la propria Anima e le mitologie comuni su cui l’uomo si fonda.



P.S. Sulla rifondazione della mitologia moderna attraverso l’Arte riserverò uno dei prossimi articoli


[1] Io amo definire l’Arte come il linguaggio che permette la traduzione delle istanze comunicative dell’Anima e che si esplica con le tecniche più disparate, come pittura, scrittura, scultura, recitazione, musica, etc…

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