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  • Marcello Usai

Profondamente inadeguati. Ovvero, la mia chiamata alle Arti.

Aggiornamento: 13 apr 2022

La nostra più grande paura è di sentirci profondamente inadeguati” potrebbe dire Paolo Sorrentino. La sua maestria nel cogliere il senso dell’esistenza mi permette di fare una riflessione che vorrei portare in luce.

Scena finale del film di Paolo Sorrentino "è stata la mano di Dio"
Scena da "E' stata la mano di Dio" di Paolo Sorrentino. Tratta da www.bestmovie.it

Inadeguati. Già, inadeguati. Così in distonia con il reale che ci avvolge da voler a volte affondare il volto fra le nuvole e cercare una scappatoia verso il cielo, verso quegli astri che ci sembrano casa. Perché tutti noi proveniamo da un seme che giace fra le stelle.

Forse per questo abbiamo questa sensazione, siamo inadeguati a quel cielo che fisicamente non possiamo raggiungere, e viviamo pensando che il mondo non sia della nostra misura, come un abito troppo stretto, o troppo largo, a seconda dei casi. Inadeguati ad aderire al racconto di quella vita già narrata da altri, descritta in codici e usi che sono sempre stati gradini faticosi da scalare e quasi mai sentieri da percorrere, perennemente indaffarati a trovare il modo di far combaciare le nostre azioni e i nostri pensieri con una realtà davvero difficile a volte da comprendere, e ancor più da affrontare.

Il desiderio di voler trovare la quadra, o perlomeno provarci, è stata quella di rifugiarmi in ciò che mi poteva permettere un racconto alternativo, o piuttosto “espanso”, del reale. L’approccio artistico è stato abbastanza confusionario in germe, devo ammetterlo; copertine e pagine di quaderni scolastici disegnate o scarabocchiate da cima a fondo, diari incollati e decorati con colori e forme di ogni tipo, tentativi di graffito metropolitano, sculture confusionarie di ceppi di legno trovati nelle mie escursioni, fatte senza mediazione e con buona vigoria ossessivo-compulsiva, persino inconsapevoli tentativi di land-art, per lasciare un segno temporaneo in quella natura in costante mutamento. Anche costruire storie mi interessava, ma non ne trovavo mai un finale, e la narrazione diveniva soliloquio nella maggior parte dei casi. Ma è sempre stato un mio desiderio costruire storie, dare un filo alle immagini che si sono susseguite nel mio inconscio; era uno di quei tarli impossibili da estrarre dalle mie costruzioni mentali, e lo è tuttora.

Gli anni adolescenziali fra musica e disegno mi hanno regalato attimi di reale divertimento e spensieratezza, di accogliente normalità, ma anche momenti di vera frustrazione conditi da quella permanente sensazione di inadeguatezza.

Gli anni universitari furono il tentativo di fare la quadra, progettare, portare su carta un’idea, una visione; concepire quelle immagini e quegli spazi vivi come scenografie dello spettacolo della vita. Il rischio di dare alle proprie idee una forma, provare a concretizzare una visione in una realizzazione viva e utile, solida e imperturbabile. Ma era come parlare un linguaggio scarno, privo dei lemmi fondamentali per una corretta comprensione, in una progressiva perdita di contatto con ciò che conduceva all’essenza fondamentale delle cose, facendo apparire tutto così maledettamente utile ai fini pratici ma anche così irrimediabilmente vano ai fini della conoscenza di ciò che è motore del mondo.

Ciò all’uomo pare non servir più, gli ideali della maggioranza sembrano lontani da quella visione creativa, artistica e in quel caso architettonica, che vedeva nell’arte del progetto un tentativo di miglioramento dell’esistenza, la creazione di luoghi per l’uomo e non per la coltivazione del proprio ego e per l’esercizio delle sue pratiche di quotidiana futilità. Mi basta vedere le gigantesche sculture moderne alla vanità che si stagliano volgari verso il cielo una dopo l’altra, in cui il progettista ha fatto un monumento alla sua enorme personalità, cercando di farsi Dio nella sua tracotante hybris.

Ma l’Arte non è questo, non lo era e non lo sarà mai. La progressiva perdita della spinta umanistica ha fatto si che si raccontasse sempre meno, e si idolatrasse sempre più, e ciò ha reso colui che ambiva ad alimentare la fiamma creativa un inadeguato sintomatico cronico.


Profondamente inadeguati, quindi. Inadeguati al mondo, allo scorrere pragmatico della vita, all’esistere in una forma che ci racchiude, ma che poi, col tempo, scopriremo di non essere Noi.

Solo quando tocchiamo la fredda superficie dei limiti che ci siamo e ci hanno imposto, esploriamo la gamma delle possibilità che la realtà ci sbatte in faccia per scrollarci dal grigio torpore che ci avvolge come un manto, quello della illusione che non avevamo mai colto. Allora quella profonda inadeguatezza traspare per ciò che è, un limite mentale che ti è stato programmato; una programmazione che noi non abbiamo mai accettato fino in fondo perché abbiamo sempre mantenuto il nostro legame con la Fonte.

Non siamo mai stati inadeguati, ci siamo solo sentiti tali.

Siamo liberi dalla nostra personalità inadeguata solo quando ci sentiamo liberi di essere ciò che realmente vogliamo essere, ciò che veramente vogliamo manifestare.


Una fase della lavorazione dell' opera "Volevo solo nascondermi"

Ecco che li, pennellata dopo pennellata, lettera dopo lettera, ho cominciato a mettere in luce ciò che ho sempre fortemente voluto dal principio. Raccontare, a mio modo.

L’Arte non è solo la manifestazione della maestria dell’Artista, ma è anche e soprattutto una modalità di connessione con l’altro per esplorare mondi mai visitati prima, oppure vedere con nuovi occhi una verità mai osservata. Raccontare la profonda e sconcertante verità della bellezza dell’Anima del Mondo che si nasconde fra le singole scintille che in un eterno istante, percorrono la tua medesima strada.

Questo è il principio di tutto ciò che verrà, nonostante la mia sensazione di inadeguatezza.

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